L’ispirazione dell’opera arriva da una pièce di Margherite Yourcenar” Qui n’a pas son minotaure?”, un’opera che cerca di scandagliare i labirinti inconsci dell’animo umano (della cui frammentata individualità i corridoi del Palazzo di Minosse sono i simboli metaforici).
Il Labirinto presenta difficoltà peggiori della morte, solitudini più fatali di una battaglia. Il Minotauro è la belva da affrontare, è il nemico in agguato, rappresenta la metafora delle paure che possono celarsi dentro di noi, per riuscire a debellare le quali viene qui quasi adombrato un suggerimento: bisogna calarsi dentro quei labirinti che attanagliano l’anima, in quel bosco interiore dove sarà impervio riuscire a districarsi. La paura è veramente il nemico da sconfiggere, quella brutta cosa di cui vergognarsi, o è piuttosto uno strumento che attende di esserci utile, un potente alleato nel cammino di elevazione? E se così è, cosa sono veramente la forza e il coraggio allora? Non si tratta di combattere le nostre paure, né di non averle. Si tratta di viverle, sperimentarle e arrivare gradualmente ad accettarle, ad integrarle profondamente in noi. Come il piombo diviene oro tramite la pietra filosofale, così la paura diviene forza, energia, elevazione, trascendenza…. quando è stata sublimata attraverso la pietra filosofale dell’accettazione e della conoscenza
L’opera è la costruzione di un monolite(sasso) arcaico che contiene in sé gli elementi del labirinto e la presenza di minotauri(paure). In quel bosco interiore di fili spezzati e diversi tra loro la continua volontà di districarsi per affrontare i minotauri